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In viaggio con Francesco, 3 – Il cielo di Chivay, la città di Arequipa e il Monastero di Santa Catalina

Oggi lasceremo il deserto destinazione Arequipa dove inizieremo a salire verso le Ande non prima però di effettuare una degustazione di Pisco ad Ica ed una sosta all’oasi di Huacachina. Il Pisco è un’acquavite realizzata con diversi tipi di uve e con metodo tradizionale. Visitiamo una vineria nella quale vengono mostrati tutti i vari passaggi per ottenere questa bevanda che, al gusto, somiglia molto alla nostra grappa. Ci fermiamo nella stessa “botega” per l’ora di pranzo.

VISTA DALL’ALTO DI AREQUIPA CON I 2 VULCANI

Tra le cose proposte c’è il taku taku, un brasato di Porcellino d’india. Magari chi legge storcerà un po’ il naso perché da noi è conosciuto come animale da compagnia però viaggiare significa anche vivere la cultura del posto e quindi decido di provarlo. Mi arriva un piatto con carne e riso saltato, pomodoro e cipolla dal sapore molto simile alla nostra carne bianca.

A chi di voi un giorno decide di venire in Perù e non ha remure, lo consiglio. Il passaggio successivo è a Huacachina, l’unica oasi di tutta l’America. Il luogo è quasi magico se non fosse per l’enorme dose di consumismo che la circonda. Uno specchio d’acqua contornato dal verde e dalle dune nelle quali ci immergiamo per goderci i colori del tramonto.

La sera la passiamo in attesa del primo bus notturno. Circa 12 ore trascorse tra il dormire e lo sperare che il mezzo tenga tra le curve ed i crepacci che si trovano lungo il percorso. Prima di salire ci concediamo un hamburgesa con patate alla modica cifra di 5 sol (1,25 euro).

Arequipa è una delle città che si distingue da tutto il Perù. Qui non c’è stata una vera e propria presenza Inca. Conoscevano la valle ed apprezzavano la sua bellezza ma non l’abitavano a causa della presenza de El Misti, un vulcano tutt’ora attivo. La città nasce grazie alla dominazione spagnola che qui si stanzia a partire dal 15 agosto del 1540.

Viene denominata “Città Bianca” grazie alle costruzioni realizzate con pietra Sillar. Una pietra bianca vulcanica estratta in zona. La guida però nel pomeriggio ci dice che in realtà, la denominazione “bianca” avviene prima dell’avvento della pietra. Infatti, essendo la maggioranza degli abitanti di origine spagnola, le persone che la abitavano, a differenza dei nativi, era di pelle chiara. Qui visitiamo la cattedrale con annesso il museo fino a raggiungere la parte apicale dell’edificio dal quale abbiamo una vista panoramica sulla città e sulla splendida Plaza de armas. Il tutto sovrastato dai due vulcani. A ora di pranzo ci consigliano dei piatti tipici ed io mi indirizzo (sentendo la mancanza di quello di mia moglie) verso il rocoto relleno. un peperone ripieno di carne, olive ed uva passa, cotto in crema di latte con accanto una patata anch’essa ricoperta di formaggio. Il tutto accompagnato da un ottimo bicchiere di vino locale. Per finire prendiamo un dolce tipico (Queso helado).

Nel pomeriggio visitiamo il monastero Santa Catalina. Un vero e proprio quartiere di oltre 20.000 mq, contornato da alte mura di colore rosso, azzurro e bianco. All’interno ci immergiamo in quella che era la vita delle suore di clausura visitando dormitori, camere e luoghi in cui tutto veniva utilizzato. Dall’acqua piovana attraverso condotte che riempivano enormi anfore di argilla fino agli spazi di terra, appositamente coltivati per il fabbisogno del monastero. La mattina successiva è la volta di Chivay, un paesino adagiato sulle Ande ad oltre 3000 metri slm. Attraversando le montagne che portano al Mirador de los Andes nel quale toccheremo quota 4910 metri percorrendo una delle strade più in quota del mondo. La vista su è stupefacente tanto quanto l’aria rarefatta.

MONASTERO SANTA CATALINA

Di fronte, partendo da destra a sinistra, le cime di tre vulcani: Sabancaya (5980 m), Ampato (6200 m) e Chachani (6057 m). Nel pomeriggio ci rilassiamo nelle acque termali di Cachapi mentre la sera ci concediamo un’ora all’osservatorio astronomico di Chivay. Qui il cielo non ve lo saprei descrivere se non con la foto che allego. Di fronte a tale spettacolo dovremmo renderci conto di quanto piccoli siamo al cospetto del creato. Dovremmo farlo tutti e spesso.

IL CIELO DI CHIVAY

A Chivay l’aria è fredda. Ci sono greggi di alpaca e lama che rientrano dall’alpeggio. Donne avvolte nei loro poncho artigianali che vendono i loro manufatti realizzati in maniera minuziosa. Vado in camera e rivedo nella mente il film della giornata e penso a ciò che vivrò domani. Prima di cadere nel sonno ringrazio immensamente quella cosa che spesso non consideriamo dal nome Vita. Francesco Torrico