POLITICA. (di Salvatore Mannillo) E’ riuscito a scatenare le polemiche di tutta Italia e di una consistente parte del web. Qualcuno lo ha addirittura definito “vecchio rimbambito”, qualche nostalgico un “traditore della sinistra”. Aveva perfino attirato le ire del suo vecchio editore De Benedetti quando, in studio da Floris, diede quello strano endorsement a Berlusconi. Eppure stavolta Eugenio Scalfari ha ragione. E’ un uomo che ha un’ ampia conoscenza del passato e riesce a fare, anche da “vecchio” (ma non rimbambito) un’analisi lucida sul presente. Scalfari non pretende, né ha mai preteso, di prevedere il futuro. Non è compito del giornalista farlo, in questo deve essere bravo ed avere molta fortuna il politico. E’ stato Scalfari a definire il Movimento 5 Stelle un partito, ed è vero. L’ M5S è diventato a tutti gli effetti un partito politico il quale, seppur ancora senza un radicamento territoriale, è ormai provvisto di un’organizzazione economica e soprattutto strategica che 5 anni fa non c’era. A capo di questo partito politico, che di dissacratorio non ha più nulla, è stato eliminato il dissacratore per eccellenza, cioè Beppe Grillo. Al suo posto c’è il giovane, istituzionalissimo, democristianamente religioso e con la faccia da bravo guaglione Luigi Di Maio. L’onnipresenza del simbolo (orfano da qualche anno di qualunque rimando al comico genovese) è accompagnata dalle grafiche ufficiale, mettendo da parte le sgranate ed autogestite diapositive degli attivisti. Oltretutto, il ciccillo ‘ncravattato Di Maio adesso non trasmette più streaming dal sedile di qualche automobile, ma dalla comoda poltrona in pelle nera della sede romana del MoVimento. Sì, la sede, perchè il sacro web oramai non basta più. Non più alle scartoffie, non più ai giacobini casellari giudiziari dei candidati, tantomeno all’ego crescente del leader. Dal “Sancta Sanctorum” internettiano di Casaleggio senior siamo passati al pragmatismo trasteverino di Davide, che di quel Casaleggio è figlio e che ha ereditato l’impero politico-monetario della Casaleggio Associati. Ma oltre alla forma, è chiaramente la sostanza ad essere cambiata. Di Maio prima presenta la lista dei ministri (deriso da tutti allora e adesso osannato come un politologo) poi nelle urne fa il botto, prende il 33% circa e, come prevedeva un afflitto Fitto, fa il cappotto di uninominali al sud. Ora, quello grillino, sembra lo schieramento più quotato per Palazzo Chigi, a patto che vi sia un contatto o addirittura un’alleanza di governo con le altre forze politiche. E’ qui che ci si mostra il nuovo volto del baccagliante Grillismo (ormai diventato silente Dimaismo). Il MoVimento cerca ora appoggio per il “rivoluzionario” programma di governo. Beffa del destino, il 5 Stelle deve cercare quell’appoggio (a meno che non decida di buttarsi tra le braccia di Salvini) tra le fila del grande nemico, la “piovra d’Italia”, il feretro di quel Matteo Renzi che per loro ha rappresentato Cerbero in questi anni, cioè il Partito Democratico. Beffa del destino perchè proprio 5 anni fa furono i pentastellati a dire no al povero Bersani, il quale fu costretto a rimettersi al Quirinale (che allora era un po’ più Versailles), quindi ad aprire la via a Letta e all’acerrimo nemico Renzi. Adesso è proprio quest’ultimo ad impuntare i piedi e dire di no. Si dimette da segretario ma si accerta che il suo partito non faccia scelte strane e lascerà, tra le polemiche della minoranza della minoranza (quindi solo quella di Emiliano, perchè Orlando sta bluffando più di Renzi e butta avanti Zingaretti), solo dopo che il governo sarà formato o nato morto. Toninelli, delfinino di Di Maio e simpaticamente chiamato dagli amici “agonia”, prova a far sentire in colpa i Dem. Non solo li accusa velatamente (per ora) di non metterli in condizione di governare, ma gli imputa il nodo della legge elettorale, rea di non avergli dato la maggioranza dei seggi. A dare man forte è Marco Travaglio, che pure alimenta la tensione mediatica supportando le dichiarazioni di un esponente politico, tra l’altro mendaci. Si vuole infatti dare la colpa di una vittoria a metà (solo dal punto di vista dei seggi, sia chiaro) a questa legge elettorale, la quale con tutti i suoi difetti non è di certo responsabile dell’ingovernabilità del paese. I 5 Stelle, così come il centrodestra, con queste percentuali e con la distribuzione geografica bipolare del voto, non avrebbero ottenuto la maggioranza con nessuna legge elettorale in vigore nel recente passato. Non avrebbero governato coi sistemi “stranieri”, nemmeno con quello tedesco che grillini azzopparono in estate. Non avrebbero governato col porcellum; per non parlare poi della rivisitazione di magistratura dell’Italicum, cioè il “Consultellum”. Nè il Movimento 5 Stelle, né Travaglio, né Di Maio (ma con ciò non vogliamo mettere il dito nella piaga della sua carriera universitaria) passano l’esame di diritto costituzionale. Questo perchè nessuna legge elettorale potrà essere un “first past the post”, la locuzione inglese e più elegante per dire “chi primo arriva meglio alloggia”. Insomma, Mentana dovrà continuare a fare, in occasione delle elezioni, maratone non-stop per provare a farci capire qualcosa su chi (non) ha vinto. Tirando le somme, possiamo definitivamente affermare che il MoVimento 5 Stelle è diventato il Partito 5 Stelle. Lo è diventato nel fare lo scaricabarile e nel lamentarsi dell’irresponsabilità altrui. Il Movimento (pardon, il partito) è cambiato nella forma ed il volto bronzeo di Di Maio è certamente più rassicurante di quello del feroce Grillo. Sta il fatto che ora però, a discapito dei risultati delle urne, quando aprirete il vostro account Facebook, quando accenderete il TV e quando leggerete i giornali, vedrete che tutti, dalla sinistra radical-chic al più becero populismo (quello più stupido e più vero), interpellano il PD. Tutti si appellano al buon senso dei democratici, alla loro “responsabilità di governo”. La stessa avuta con Alfano, Verdini, Berlusconi. A questo punto mi perdonerete la chiosa sconclusionata: ma ‘sta benedetta responsabilità la deve avere sempre il Partito Democratico?
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