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Antonio Megalizzi non ce l’ha fatta: nel giornalismo si corre, si scrive, si racconta e si muore

 
 
(Articolo a cura di Giuseppe Nicodemo) Antonio Megalizzi è morto, dopo giorni di coma il giovane reporter di 29 anni non ce l’ha fatta. Era rimasto ferito nell’attentato di Strasburgo l’11 dicembre scorso. Lavorava al progetto Europhonica, un consorzio di radio universitarie. Antonio è la quarta vittima della follia umana incarnata da Cheriff Chekatt. Il giovane professionista ha incontrato la morte troppo presto. Un lavoro difficile quello del giornalista: servire i lettori (radioascoltatori nel suo caso), offrire il proprio occhio, la propria voce, a chi in quel luogo, in quel momento, non c’è. Eppure, questo meraviglioso mestiere, racchiude in sé pericoli e destini insospettabili. Dare il massimo di sé, ogni giorno, per la gente, per gli altri, e trovarsi, infine, ucciso dagli altri. Magari da chi, potenzialmente, fino al giorno prima, era un tuo accanito e fedele lettore, o radioascoltatore. La morte è, senza dubbio, la più terribile fine, per un professionista intento a svolgere, con passione, il proprio mestiere, ma, in ambito giornalistico, ogni giorno, sono molte, forse troppe, le circostanze di difficoltà che, un giornalista che si rispetti e che ami il proprio mestiere, si trova ad affrontare. Minacce, aggressioni, sono soltanto alcune delle quotidiane battaglie sul campo. Battaglie portate avanti con determinazione ed immenso spirito di vocazione. Poi succede che, sul campo, arriva la morte. E così, per un attimo, ci si sofferma a pensare: corriamo, scriviamo, raccontiamo ed, infine, moriamo, paradossalmente per mano di nostri potenziali lettori. Un duro lavoro quello del giornalista, Antonio. Noi giornalisti non possiamo che essere onorati di far parte della tua categoria. Un giornalista si vede dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Che la terra ti sia lieve Antonio. Continueremo ad onorarti con il quotidiano racconto della realtà. Da oggi, tutti noi, saremo anche il tuo occhio e la tua voce.