MONDRAGONE. Il nostro territorio è da decenni scenario di attività di sversamento o combustione, illegale o in deroga alle norme nazionali ed europee, di rifiuti industriali nocivi. I ripetuti studi epidemiologici concordano ormai nell’individuare nella cosiddetta Terra dei Fuochi un’area in cui si riscontrano anomali livelli di criticità sanitarie per incidenza, ospedalizzazione, mortalità (relative a tutti i tumori), malattie metaboliche, neurologiche e malformazioni neonatali. Una evidenza che è stata affermata in via giudiziaria dalla Corte Europea nella sentenza del 4 marzo 2010, ai punti 93, 94 e 95. Da tempo in tanti abbiamo ritenuto plausibile considerare la maggiore incidenza di molte patologie come possibile conseguenza dell’esposizione prolungata nel tempo a sostanze chimiche di origine industriale disperse nell’ambiente, tale da determinare, nelle popolazioni esposte, il bio accumulo e causare intossicazioni subacute o croniche, causa o concausa di gravi patologie. E da anni contiamo i nostri morti per tumore. Eppure, c’è chi si ostina- contro ogni evidenza- a sostenere il contrario o a minimizzare.
Nel 2014 fu l’allora ministra Beatrice Lorenzin ad attribuire i dati drammatici sull’incidenza dei tumori nella Terra dei Fuochi “agli stili di vita”. Appena un anno fa il (sommo) Governatore De Luca spiegava: “I tre tumori per i quali siamo sopra la media nazionale sono quelli del fegato, del polmone e il mesotelioma. Per quello ai polmoni, gli esperti spiegano che deriva dal fatto che la Campania ha il livello più alto di fumatori assieme al Lazio e all’Umbria”. E lo scorso dicembre la commissione d’inchiesta regionale sul fenomeno è stata cancellata nel silenzio assordante di quei Consiglieri regionali che pochi mesi prima avevano fatto man bassa di voti proprio nei comuni della Terra dei Fuochi e che per tale performance sono stati premiati con presidenze varie. Ora è il Report dell’Istituto superiore di Sanità in collaborazione con la Procura di Napoli Nord a sancire che l’aumento anomalo dei tumori è la conseguenza degli sversamenti illeciti. La mappa stilata dall’Istituto superiore di Sanità conta 2.767 siti di smaltimento illegale su 38 comuni che insistono su 426 km quadrati. Più di un cittadino su tre, il 37% dei 354mila residenti, vive ad almeno 100 metri di distanza da uno di questi siti, sorgenti di emissione e di rilascio di composti chimici pericolosi per la salute. I comuni sono divisi in quattro classi con fattori di rischio crescenti. Solo Giugliano e Caivano sono di livello 4; Cardito, Casoria, Melito, Mugnano e Villaricca sono di livello 3. Si tratta di amministrazioni che rientrano tutte nella provincia di Napoli. Undici sono di livello 2, di queste sette del casertano (Aversa, Casal di Principe, Sant’Arpino, Casaluce, Gricignano d’Aversa, Lusciano e Orta di Atella) e quattro nel napoletano (Afragola, Casandrino, Crispano e Qualiano). La Terra dei Fuochi comprende -come è noto- una novantina di comuni, di cui 34 della provincia di Caserta. Ma quest’ultimo Report si è occupato soltanto di 38 comuni tra Napoli e Caserta. Mondragone, quindi, che pure fa parte “a pieno titolo” della Terra dei Fuochi non è stato oggetto (unitamente ad un’altra cinquantina di comuni) dell’analisi dell’ISS. E ciò dovrebbe preoccuparci non poco, perché significa che non abbiamo ancora neppure i dati di ciò che è realmente accaduto negli anni nel nostro territorio e non sappiamo se la nostra situazione possa essere assimilata a quella mappata da questa ricerca o meno.
Non si tratta di fare gli allarmisti, ma di pretendere di essere correttamente informati. È un nostro diritto. Non possiamo essere privati della conoscenza dei rischi che corriamo (anche per “smontare” eventuali “bufale” e per tranquillizzare i cittadini). Né continuare a tollerare inerzie, mancate prevenzioni e l’assenza reiterata di soluzioni (di bonifiche). E continuare masochisticamente a votare gli autori di tale andazzo. Mah! Per quanto ci riguarda restiamo fermi a dati molto parziali che avevano considerato anche Mondragone quale sede di siti pericolosi seppur a più basso rischio presunto, denominati 2a, ovvero siti agricoli che per attività pregresse hanno evidenziato in passato valori degli inquinanti superiori di 2-10 volte le concentrazioni soglia di contaminazione per almeno un inquinante. Ha scritto Antonio Marfella ne “I miei cento passi nelle Terre dei Fuochi” (che raccoglie suoi articoli scritti dal luglio 2014 al marzo 2020 https://www.guidaeditori.it/prodotto/i-miei-cento-passi-nelle-terre-dei-fuochi/): “Ho trovato una parola per me nuova: il verbo tombare e il sostantivo tombamento profondo. Indicano la tecnica di seppellimento di scorie tossiche, tombate in gran profondità e coperte da uno strato di terra tanto spesso da non contaminare i terreni agricoli. Insomma, il lavoro è fatto con scaltrezza, la pummarola e le bufale sono pulite e sane, la pizza è salva e tutelata, molto meno le persone”. “Tombare”, un verbo che vale anche per la politica (diciamo), comunale e regionale, seppellita in profondità da cinici e incapaci becchini, alcuni dei quali hanno la faccia tosta di tingersi -a Mondragone come a Napoli- di verde e d’ambiente.
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