(di Paola Monaco) In fin dei conti, noi del pubblico di Periferia dell’Impero Short Film Festival, giunto quest’anno alla sua XIII edizione (15-17 luglio 2022), somigliamo a Matilda, la protagonista del delicato cortometraggio “Big” di Daniele Pini, pronti a scandagliare terreni inesplorati alla ricerca di oggetti di valore che possano arricchire le nostre esistenze. Mendicanti di sapere e di emozioni, ci lasciamo guidare in questo avvincente viaggio nel cinema.
Sediamo ai nostri posti, nell’affascinante cornice del Castello Ducale, e respiriamo, ancor prima dell’inizio della proiezione, il fermento dell’attesa. Così, oscillando come giocolieri tra la fervida curiosità e il bisogno di meraviglia, siamo pronti ad essere catapultati in un puzzle universale di esperienze, paradigmatiche di realtà intellettuali, sociali e psicologiche radunabili sotto un’unica bandiera, quella dell’umanità.
Le differenti ambientazioni ci permettono di viaggiare nei paesi più sperduti del mondo, come in “Akochetame” di Federico Francioni e Gaël De Fournas, unici nella loro peculiarità e minacciati da una globalizzazione che appiattisce e uniforma i sogni. Approcciamo realtà concrete, ma anche virtuali, come quelle delle hotline che lasciano emergere in “Roy” di Tom Berkely e Ross White dialoghi d’infinita tenerezza. In questa varia sequenza di cortometraggi, piccoli gioielli inanellati intorno al filo della creatività, non viviamo solo la catarsi attraverso la sublimazione: dobbiamo anche fare i conti con situazioni che sono dei sonori schiaffi in faccia: la malattia, sia essa intesa come disagio psichico, autismo o disabilità (“A Dead Sea” di Nahd Bashir); la crisi di coppia di giovani che si risvegliano, più o meno drasticamente, dall’incanto della condivisione, tra accuse tossiche (“L’Ultimo spegne la luce” di Tommaso Santambrogio) e arrendevole rassegnazione per un amore che fu e che più non è (“Amarena” di Roberto Palmiero); l’eutanasia (“L’ultimo stop” di Massimo Ivan Falsetta, vincitore del premio del Pubblico), trattata con rara sensibilità ed equilibrato bilanciamento di posizioni. L’ineccepibile interpretazione di Neri Marcoré, fermo nella sua lucida scelta di rinuncia alla vita, arriva dritta al cuore e, in alcuni momenti, lo gonfia di dolore e di emozione. Non può mancare il tema della ricerca della propria identità (“Warsha” di Dania Bdeir), che si esplicita in una danza a tinte forti, sull’orlo del precipizio del sé, con tanto di piume di struzzo color rosso fuoco che volteggiano in un cielo di libertà. L’omosessualità, portata al limite del sacrificio, è anche il leitmotiv di “Nurradin” di Daniele Trovato. “Homeless” di Luca Esposito compie il miracolo di farci vedere gli invisibili, donando loro una mente, una voce, un corpo, e a noi un cuore e occhi nuovi.
Quanto al dramma, inteso come evento infausto e doloroso, alcune opere evidenziano come la realtà superi di gran lunga l’immaginazione: basti pensare alle scene di segregazione e sfruttamento di cui è vittima la coraggiosa madre di “Lili Alone”, per i più un inanimato utero in affitto, un ingranaggio della produzione. La regista Zou Jing, vincitrice del Premio “miglior corto autore emergente o opera prima”, è riuscita a incuneare, tra immagini di squallida desolazione, perle di solidarietà e speranza, imbarcate su un traghetto che scivola piano, in una notte scintillante, verso lidi di riscatto. “Buon compleanno Noemi” di Angela Bevilacqua riprende il tema della mercificazione del corpo della donna e del degrado sociale che fagocita, nei suoi abissi di disperazione, anche gli affetti più cari. Certamente meritato il Premio di migliore attrice assegnato alla giovane protagonista, Simona Petrosino. All’inquietante violenza domestica di “Don’t tell anyone” di Sahar Sotoodeh si contrappone l’ironia, a volte grottesca e a volte geniale, di lavori come “Figlie delle Stelle” di Eduardo Smerilli, che riesce magistralmente ad associare la tecnica macabra della criogenesi alla poesia dell’universo, e di “Don vs Lightining” di Big Red Button, in cui l’eterna lotta tra uomo e natura assume connotati talmente surreali da portare il pubblico a ridere sonoramente in più occasioni.
Con “Le Buone maniere” di Valerio Vestoso, vincitore del premio giuria, sconfiniamo idealmente nel campo della musica: dal suono meccanico della mitraglietta, veicolo della mattanza, anticipato dal ritmo di un’energica rumba, alla voce concitata e spasmodica di Mimmo Savarese, grande telecronista sportivo ormai “fallito”: tutto è incalzante, anche lo stesso passo della narrazione, che raggiunge l’acme nella scena finale. L’iniziale tragedia è paradossalmente il meccanismo propulsore dell’ironia che percorre l’intera storia e che vede in Giovanni Esposito un brillante interprete, giustamente premiato come Miglior Attore.
In questa variegata girandola di emozioni, un posto a sé occupa “La guerra di Valeria” di Francesco Alino Guerra, trionfo dello “straniamento” tipico del teatro civile di Brecht che, con l’uso del fermo immagine, la fotografia in bianco e nero, l’interposizione di canti, la ripetizione di azioni meccaniche svolte da corpi simili a marionette, non cerca certo l’approfondimento psicologico alla Stanislavski. E poiché il gesto non è un fatto individuale ma sociale, solo in questo modo si comprende la scelta incoerente e disumana di Valeria, con la quale è impossibile empatizzare.
Come ogni anno, ci riportiamo nel bagaglio piccoli tesori di rara fattezza e, per questo, non ci si può esimere dal ringraziare Silverio Cardone, presidente dell’Associazione Arci Matidia di Sessa Aurunca e Filippo Ianniello, direttore del Cineforum Aurunco, nonché tutto l’efficiente staff, per aver permesso la realizzazione di questa encomiabile iniziativa e per lo sforzo profuso costantemente per promuovere la cultura sul territorio.
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