Quella che stiamo per raccontarvi è la storia di G., ragazzo di Carinola oggi in seconda media. Ragazzo che, per una serie di circostanze, si è trovato ad affrontare situazioni difficili e che, per fortuna e per sua forza, è riuscito a superare. Tuttavia, riteniamo opportuno raccontare questa storia, convinti che possa toccare le coscienze di giovani ma, ancor più, quelle dei loro genitori. Sia chiaro, non è un racconto che vuole trovare colpevoli o puntare il dito contro qualcuno. Semplicemente, raccontiamo fatti che a nostro avviso rientrano in una sfera tanto importante quanto delicata della società moderna, l’attenzione verso una determinata persona intesa nella sua totalità, per non inciampare in forme di denigrazione, allontanamento o, nella peggiore delle ipotesi, in forme di bullismo, quello psicologico, meno esplicito di quello fisico, ma non per questo più lieve.
Fin da bambino G. ha sempre avuto un carattere vivace. Sia con gli amici che a scuola è sempre stato un bambino pieno di vitalità e spinto da una voglia incontenibile di manifestare il suo affetto verso gli altri. Essendo sempre stato una persona molto affettuosa e buona di cuore, si è sempre aspettato di essere ricambiato con la stessa moneta. Insomma, un bambino vivace e allo stesso tempo dolcissimo.
Il valore aggiunto di G., è credere nello scambio reciproco delle azioni che fanno parte della vita di tutti i giorni. Per questo, appunto, si aspetta lo stesso affetto che quotidianamente rivolge ai suoi amici e a tutte le persone che fanno parte della sua quotidianità.
Per G., gli amici hanno sempre ricoperto un ruolo importantissimo nella sua vita. La sua storia, infatti, trova snodi cruciali proprio nel rapporto fra lui ed i suoi amici.
Con l’inizio della scuola elementare, G. si trova per la prima volta a rapportarsi con persone nuove, in contesti diversi, più ampi, dove ci sono altre centinaia di bambini come lui. Il suo carattere vivace, insieme alle ottime prestazioni che ad oggi fanno ancora parte della sua vita scolastica ed educativa. Alcuni di essi ne decantano le sue incredibili doti e la sua velocità mentale mentre altri, nel corso degli anni, si sono soffermati di più sul fatto che, un alunno così vivace, potesse dar “fastidio” alla classe.
Così, comincia a capitare che nei lunghi pomeriggi di studio con gli amici o nel suo modo di fare in classe, i genitori dei suoi amici, spesso le madri, si rivolgono agli stessi insegnanti, a volte quasi infastidite, per richiamare G. all’ordine.
Tuttavia, il suo comportamento, inizia a dar sempre più fastidio al punto che, poco a poco, si crea un allontanamento sempre più solido fra lui ed i suoi amici. Probabilmente, le madri dei suoi amici (forse più che ai suoi amici stessi), sono infastidite dal suo comportamento.
I legami con quelle che sono le persone più importanti nella sua vita, così, vanno sempre più allentandosi ma G. fa quasi finta di non accorgersene, cercando di non dare importanza alla cosa con la speranza di preservare il rapporto.
Tutto, però, giunge ad un nodo. La miccia “esplode” in quinta elementare. In quell’anno ci si organizza per le Prime Comunioni e, in linea di massima, nelle zone e nei paesi in cui G. abita si tende ad organizzare i gruppi delle Comunioni in osservanza dei legami e delle amicizie.
In quell’anno, anche per via del Covid, i gruppi non possono essere numerosi. Ciò nonostante, nel pieno rispetto delle norme previste, questi cominciano a formarsi.
Ciò che succede, nel giro di pochi giorni, è che, nonostante le numerose richieste della madre di G. di inserirlo in uno dei gruppi composto dai bambini che G. riteneva suoi migliori amici, la stessa si vede “scavalcare” da molti altri genitori che, contemporaneamente, riescono a vedersi esaudire le richieste.
Fra i gruppi che vanno formandosi, se ne crea uno con i sei amici del cuore di G., ma purtroppo nemmeno in questo la madre riesce ad inserirlo.
E’ proprio in questo momento che la madre intuisce, forse per la prima volta, che tutte le dicerie e gli allontanamenti nei confronti del figlio si stessero materializzando, proprio in quei giorni, nella vita reale.
Il tutto va concretizzandosi ancor più col passare di qualche mese, nell’età più significativa di ogni ragazzo.
Situazione pressoché analoga, infatti, si ripete dopo qualche mese, quando G. è chiamato per le Scuole Medie ad orientarsi verso l’una o l’altra sezione. Anche in questo caso, G. si ritrova “escluso” (forse per volere di qualcuno?) dalla sezione in cui avrebbe potuto continuare gli studi con i suoi amici delle elementari.
G. comincia, per questa ragione, le Medie con molta malinconia. In seconda media, poi, la mamma di G., alla luce dei fatti e consapevole delle volontà del figlio e anche della maturità acquisita, decide di chiedere il trasferimento nella sezione in cui erano presenti gli amici delle elementari.
Decide di chiedere il passaggio in altra sezione, dove, per l’appunto, stanno tutti gli amici del figlio. Decide così di contattare la Preside dell’Istituto.
La stessa, invita la signora a presentare domanda. Poi, fra slittamenti dovuti al Covid, ai tempi burocratici e a rinvii all’anno successivo, la richiesta non va in porto tanto che all’inizio della Seconda Media, le classi restano uguali senza rendere a G. e alla madre preoccupata, le richieste avanzate.
Intuisce subito che si sta innescando un meccanismo pericoloso, una sorta di allontanamento forzato, “un bullismo psicologico vero e proprio” –dirà la madre, “se si associano queste azioni a ciò che, a volte, ho sentito dire sul conto di mio figlio, in ambito scolastico e in ambito sociale, se pensiamo al rapporto con i suoi amici”.
Una scintilla che apre una visione nella mente della madre di G. che forse non si sarebbe mai aspettata: mio figlio allontanato e denigrato dai suoi amici per via del suo carattere.
“Mio figlio, forse, era visto come quel bambino troppo vivace che anche nel giorno della Prima Comunione potesse dare fastidio? E’ pieno di vita, esuberante, ma non certo un criminale.” – dice la madre.
Questa circostanza, “l’esclusione” di G. e l’ennesima dimostrazione concreta che suo figlio potesse rappresentare un fastidio, a questo punto, per le mamme dei suoi amici più che agli amici stessi, spinge la madre a non darsi per vinta.
Insomma, un insieme di episodi che si sono verificati in un lasso di tempo brevissimo, tutti con finale negativo e di mancata comprensione.
La situazione attuale è che G. non si è più ricongiunto ai suoi amici. Probabilmente, se tutti si fossero fermati un minuto ad osservare e cercare di capire il suo carattere, piuttosto che giudicarlo al punto da veicolare le scelte più importanti della sua vita, oggi starebbe in classe con i suoi amici e, probabilmente, quegli stessi amici lo chiamerebbero di pomeriggio per giocare o uscire per una passeggiata.
Lo abbiamo detto all’inizio di questo breve racconto e lo ripetiamo ora. Non c’è volontà alcuna di puntare il dito contro qualcuno. Tuttavia, tocca registrare e ragionare sul fatto che spesso, anche inconsapevolmente o involontariamente, si agisce invadendo la libertà degli altri, anche quella dei propri figli.
In questo modo si finisce col veicolarne le vite, spesso, in maniera sbagliata. Le libertà comportamentali, quelle che non ledono persona alcuna, vanno lasciate tali, e quindi libere.
Sebbene potrebbe non sembrare, quella di G., a questo punto, può essere definita una storia di bullismo psicologico “bello e sano”. Un bullismo ricevuto “indirettamente” da persone più adulte, quelle che più di tutte dovrebbero saper capire, comprendere, educare e gestire. In questo caso, non è stato così.
Siamo certi, perché ce ne siamo accertati anche parlando a lungo con la madre, che G. sta bene e ha la forza sufficiente per farsi nuovi amici e continuare nei suoi studi in maniera splendida.
Certo, dovrà rimboccarsi le maniche e curare il suo stato emotivo fino a quando, un giorno, capirà che sarà opportuno indirizzare il suo affetto e le sue attenzioni nei confronti delle giuste persone e che non sempre è possibile, purtroppo, regalarle a tutti.
G., forse, questo l’ha già capito, gli altri, chissà…
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