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MONDO – In India con Francesco Torrico: le prime testimonianze

Se come me vivi in luogo come Falciano del Massico, città come Delhi non le potrai mai concepire. Delhi, secondo i primi dati trovati nel web (Wikipedia 2001) è una città con una densità di 19.208,04 abitanti per km2. Praticamente un’infinità. Nonostante questo numero sia già impressionante, in ogni passo percorso all’interno della città, percepisci la sensazione che sono molti… ma molti di più. La gente brulica in ogni parte e con ogni mezzo. C’è folla all’ingresso dei templi, al parco divertimenti, nei parchi pubblici, sui bus aperti. Il traffico è endemico, perenne, incessante. Tutto è congestionato quasi in ogni ora del giorno o almeno in tutte quelle in cui ho vissuto questa città da sveglio. L’aria è quasi irrespirabile. Per darvi un’idea, alle 5.30 del mattino, mentre scrivevo i primi appunti, da una stanza senza finestre, si sentiva quel suono di clacson che sarà la fastidiosa colonna sonora del nostro cammino. 

Qui visitiamo ben poco. Tra i tuc tuc che ti scarrozzano a loro piacimento con il fine di portare a casa sempre qualcosa in più ed una giornata, la prima, che ci ha scaraventati da un mondo all’altro in cui tutto è tanto, c’è il bisogno di ambientarsi. 

I turisti in giro sono veramente pochi. Quasi nulla in confronto ad altre metropoli visitate in passato. Tanto pochi che, in maniera quasi incessante, le persone del posto ci fermano per chiederci di fare una foto con noi cosa che, dalle nostre parti, capita solo alle personalità di rilievo. 

Questo inferno in terra cambia drasticamente oltrepassando la porta di un tempio. Nell’arco della giornata ne visitiamo tre di cui il più famoso è il Lotus temple. Struttura ultra moderna dalla forma di un loto in cui si predilige il silenzio e la meditazione solo una volta arrivati all’interno. Tutto diverso invece dalla festa Hare Krsna al tempio Iskon nella quale ci siamo immersi visitando il primo luogo di culto e da cui usciamo con corone di fiori al collo, “bindi” di ogni forma sulla nostra fronte ma, soprattutto, pervasi dalla gioia dei loro mantra accompagnato dal battito delle mani.

Dopo un pranzo ed un’altra avventura in Tuc Tuc che sballotta per mezza Delhi, perdiamo parte della giornata a cercarci a vicenda. Uno dei quattro Tuc Tuc scarica un gruppo in un’altra parte che in realtà non sarebbe troppo distante da dove siamo noi. Ma questa distanza diventa lontana anni luce considerando la marea di folla che ci passa da ogni dove. Tra mercanti improvvisati e mezzi di ogni tipo. Tra derelitti ai margini delle strade, mucche ed il suono dei clacson da colonna sonora.

Ci ritroveremo dopo due ore. Un’occhiata al Red Fort con una bellissima luna che lo sovrasta, una alla moschea Jama Masijd ma solo dall’esterno passando per l’urdu market Road. Una strada con un mercato permanente su terra battuta schivati continuamente da mezzi che viaggiano senza un senso preciso e pattume quasi ovunque. 

Piccola menzione all’ultimo tempio Sikh di cui non saprò nemmeno mai il nome. Per accedere tolgo le scarpe che consegno ad una simpatica e truccatissima signora e mi immergo, senza non aver prima bagnato piedi e mani, all’interno di questa struttura che mi catapulta con la mente in un video psichedelico stile Pink Floyd. Colori che si riflettono in specchi dalla miriade di forme. Suoni, preghiere cantate ad alta voce. Quasi mai come una litania ma sempre in maniera gioiosa. Gente che medita. Tanti sorrisi mi accolgono. All’inizio credo che sia perché, il mio aspetto, possa dare l’idea di un occidentale che ha abbracciato il loro credo a causa della mia barba ed i capelli lunghi avvolti in uno scaldacollo che uso come turbante. Scoprirò successivamente che a tutti i miei compagni di viaggio è stata riservata la stessa espressione. Infine, camminando tra la pace e la rilassatezza, veniamo accolti in una sala in cui ci invitano a consumare un pasto che offrono a tutti indistintamente e questo, considerando il luogo, è già una prima differenza sostanziale soprattutto in questo momento storico.

Mentre da una parte del mondo due popoli con due religioni diverse sono in guerra tra loro causando migliaia di morti, io Francesco, ateo, che viene da un luogo in cui prevale la religione cattolica contraddistinta spesso da praticanti che applicano al contrario quanto dettato dal proprio credo, vengo invitato a sedermi al loro banchetto equiparandomi alla moltitudine. Vengo invitato a prendere un vassoio per essere accolto e nutrito nella loro comunità. Io ed i miei compagni di viaggio insieme al povero, al misero o al ricco. Senza avermi mai visto prima, il signore sulla sessantina, classico turbante di colore arancione e barba lunga incorniciata in due baffi lunghissimi, accetta il mio rifiuto a mani giunte che ricambio. 

Recupero le scarpe e mi reimmergo nel frastuono della città. Un tuc tuc ci carica in sette (otto persone compreso l’autista!) e ci riporta fuori dall’hotel dopo un tetris infinito, qualche strada percorsa contromano e contornati dalla moltitudine di veicoli, voci e suoni di una megalopoli. La carretta ci accompagna verso la fine di questa giornata nella quale non mangerò nulla. Una giornata in cui ho avuto la conferma di due cose fondamentali.

La prima è che, anche nel caos più assoluto, è possibile trovare la pace e ciò mi riporta al famoso Yin e Yang. La classica forma dell’equilibrio in cui nel bianco c’è sempre un puntino nero e viceversa nel nero, sempre un puntino di bianco. La seconda è che, le esigenze umane, non avrebbero bisogno di differenze. Oggi i Sikh mi hanno insegnato con i fatti quanto è bella quella parola chiamata accoglienza. 

Ci sarebbe anche la terza che in realtà è una domanda: Ma che cosa ci farà mai un indiano con una foto insieme a me, in posa, di fronte allo specchio di un bagno di un tempio Hare Krsna? Perché quel bambino della foto che vedete sotto, è così felice nel mettersi in posa insieme ad un occidentale? Forse lo scoprirete leggendo il prossimo articolo. Francesco Torrico

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