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La Festa di piazza, i comitati, le tradizioni e il dato economico

La Festa di piazza, i comitati, le tradizioni e il dato economico

(Articolo a cura di Fabrizio Marino) Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci. Parlare di feste di piazza è parlare di feste patronali, di quell’universo a tratti inestricabile che costella soprattutto il mezzogiorno d’Italia. L’argomento spesso viene sottaciuto. Viene quasi snobbato dalle scienze sociali, che preferiscono occuparsi di aspetti collateralicome i legami in molti territori con frange criminali, il rapportocon gli antichi riti pagani, le collateralità della devozione e tanti altri aspetti, non di certo secondari. Poche volte invece ci si concentra sul dato economico, sulla ricaduta che hanno sui territori da cui scaturiscono; sulle inevitabili sabbie mobili di unamalcelata evasione fiscale sempre concessa e sempre legittimata. 

  Le feste di piazza assumono da sempre un’autorità difficile da contestare. Sono inevitabili attratto ri di sentimenti felici, ricordi spensierati e riunioni di famiglia. Le infinite rappresentazioni e i ricordi creano inequivocabilmente sussulti di gioia nel sentire l’odore di festa. La banda che suona. Le botte che scoppiano. Il Santo. I vestiti a festa. Tutto questo ha ovviamente dei benefici in termini di comunità: Il senso di festa è sostanzialmente lo stare insieme e ricongiungersi, facendo pausa dai mille impegni che la zavorra del quotidiano impone.

La festa osservata dal punto di vista del dato economicoinvece,apre ampi scenari, alcuni anche suggestivi che bisogna cercare di mettere a fuoco, senza paura di bruciarsi troppo. 

  Uno dei punti più critici è sicuramente la composizione stessa dei comitati festa, che in realtà dovrebbero essere emanazione dei consigli pastorali, quindi membri effettivi delle comunità parrocchiali; in molti casi, per non essere generali e categorici, questo non avviene. Quando si è fortunati, il gruppo è formato da persone, i cosiddetti parrocchiani che con grande sforzo e senso di abnegazione si prodigano alla ricerca dei fondi, a volte in modo quasi morboso tra le varie attività, al fine di regalare al santo la giusta celebrazione. 

Quando invece non si è fortunati, il gruppo si compone in maniera completamente avulsa rispetto al contesto parrocchiale, creando dinamiche da cui è difficile venirne fuori. Anche se la responsabilità legale e civica rimane dell’Amministratore Unico della Parrocchia che è il presbitero, l’organizzazione concretaviene appaltata ad altre persone, che quasi in maniera impositiva gestiscono i festeggiamenti. Una postilla va messa a proposito di tutti quei gruppi che si costituiscono autonomi, come le associazioni varie, le confraternite e tutto il resto: per loro questo ragionamento, in parte, non vale.

  Facendo un focus su una tipica festa patronale, un po’ per stereotipi e un po’ per immaginazione, abbiamo bene in mente gli elementi archetipici che compongono una festa. Le apparate di luci, i fuochi d’artificio, le noccioline, le bancarelle che vendono sempre le stesse tipologie di cose, la banda di musica, i tenori, il cantante, il comico, il cinema di piazza. Tutti questi elementi, che compongono la forma delle feste di piazza hanno ovviamente un costo in termini economici e la richiesta di tali elementi viene esaudita da un’industria vera e propria che domina alle spalle della scena. Gli impresari dei cantanti, le aziende di luminarie, i fuochi d’artificio visti da un’ottica economica lasciano chiaramente presagire un circuito quasi chiuso che in maniera egemonica determinano i festeggiamenti in tutte le comunità; quasi come se le comunità stesse non riuscissero ad essere indipendenti rispetto atale costruzione quasi atavica.

  In molti casi sono le aziende stesse ad imporre le scelte all’interno dei comitati, con rapporti di tipo clientelare che si stabiliscono tra le parti. Questo atteggiamento, negli anni, ha costituito un format solido che si ripropone in modo incondizionato, facendo si che tutte le riflessioni siano concentratesull’organizzazione esteriore dei festeggiamenti, tralasciando quel centro nevralgico costituito dalla fede popolare che muove tutta la struttura.

  Per tradizione, tutti siamo portati a pensare che oltre questo format non possa esistere altro, come se la celebrazione di un santo sia una questione legata solamente allo scintillio delle luci o al cantante, quando in realtà questa rappresenta soltanto la parte ludica dell’evento.

  Il dato economico è legittimato dalla questua, una modalità di approvvigionamento economico consistente nel richiedere i fondi alle famiglie. Sotto questo punto di vista, è la comunità stessa che finanzia autonomamente la festa, come finanziatori all’interno di una cooperativa. A tal proposito, se si facesse uno studio economico per tutti i comitati festa del Sud Italia, ci si renderebbe conto, che le feste di piazza compongono una fetta importante  dell’economia dei nostri paesi. Anzi, con un occhio ancora più critico, ci si renderebbe conto che la somma totale dell’ indotto,potrebbe essere superiore a tantissimi comparti industriali, solo che difficilmente questo dato riesce ad emergere. 

  Il problema di questa economia sommersa è che non esiste una normativa stabile che permetta a tutti di attenersi a delle regole: sia essa laica ecclesiastica. Grazie a questi buchi amministrativie al terreno sempre sdrucciolevole del dialogo Chiesta- Stato si genera un’economia basata sull’evasione fiscale, perché difficilmente i comitati festa sono sottoposti a controlli. A questo va aggiunto che le imprese lavoratrici, spesso non rilasciano nessuna regolare fattura con la classica scusa di far risparmiare l’IVA ai comitati, per servirsene poi negli altri elementi della festa(imprenscindibili). Ovviamente l’esca del risparmio abbocca sempre e quindi si abdica ad un dovere importante come se l’Imposta sul Valore Aggiunto fosse una spada di Damocle pronta a colpire il collo dei comitati. In questo modo è facile intuire il circolo di malaffare e di evasione a cui si è costretti, tanto che alla fine il senso della festa è completamente perduto al cospetto dell’industria di mercato che ormai ha preso il sopravvento. 

  Osservare il dato economico di una festa permette di riflettere sulla portata economica, su ciò che potrebbe essere fatto all’interno delle comunità stesse, che diventano finanziatori inconsapevoli di grosse somme di denaro, che potrebbero essere spesi in tanti modi e in modo molto più efficace. Invece, spesso si decide di bruciare ingenti quantità di denaro in fuochi d’artificio,lampadine scintillanti, piccoli concerti che ora sono stati superati ampiamente dalle programmazioni estive dei comuni. Ci si dimentica a volte che è festa soltanto se si sta insieme, ed è festa a prescindere dagli manifestazioni sfavillanti, anche perché come si può pensare ad una festa se in onore del santo si evadono le tasse, si alimentano logiche criminose?

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